IL TRIBUNALE MILITARE
    Ha pronunciato la seguente ordinaza nella causa contro Barel Eddy,
 nato il 7 luglio 1969 a Latisana (Udine) atto di nascita n.  295/I/A,
 residente  a  Ronchis  (Udine) in corso Italia n. 56, celibe, licenza
 media inferiore, disoccupato, impossidente, incensurato,  carabiniere
 in  congedo,  gia'  in  servizio  presso  la  stazione carabiniere in
 Cordovado (Pordenone), libero, imputato di furto militare  aggravato,
 (artt.  47,  n.  2,  e  230,  primo  comma,  del  c.p.m.p.)  perche',
 carabiniere nella stazione carabinieri in  Cordovado,  nella  seconda
 meta' dell'agosto del 1989, nella caserma della
 predetta  stazione, si ipossessava, al fine di trarne profitto, di un
 modulo per assegno  n.  5037825765-11  tratto  sul  c.c.  n.  7393-11
 intestato  al  carabiniere Manfrin Emanuele, sottraendolo al predetto
 carabiniere  che  lo  deteneva   nella   propria   autovettura,   con
 l'aggravante del grado rivestito.
                            FATTO E DIRITTO
    A  conclusione  del  giudizio abbreviato, celabratosi in camera di
 consiglio con la partecipazione dell'imputato, e'  risultato  provato
 l'elemento  materiale  ed  il  corrispondente elemento soggettivo del
 reato di furto militare descritto in rubrica.
    Dalla  condanna, che dovrebbe essere pronunciata nei confronti del
 carabiniere Barel, deriverebbe, per  la  disposizione  dell'art.  30,
 ultimo  comma, del c.p.m.p., e del tutto prescindendo dalla quantita'
 della  reclusione  militare  inflitta,  la  pena   accessoria   della
 rimozione dal grado.
    Tenuto  conto dei criteri indicati nell'art. 133, del c.p. e delle
 circostanze  attenuanti  sussistenti  a  favore   del   condannabile,
 dovrebbe  essere  inflitta la pena di un mese di reclusione militare.
 Verrebbe pertanto concesso, potendosi sicuramente  presumere  che  il
 Barel  si  asterra' da commettere ulteriori reati, il beneficio della
 sospensione condizionale della pena. Ma quest'ultima statuizione  non
 avrebbe   alcun   rilievo   sulla   pena   accessoria,  ostandovi  la
 disposizione dell'art. 166  del  c.p.,  secondo  cui  la  sospensione
 condizionale  della  pena non si estende alle pene accessorie ed agli
 altri effetti penali della condanna.
    Questo  Tribunale  Militare  ha  piu' volte sollevato questione di
 legittimita', costituzionale del citato art. 130,  ultimo  comma  del
 c.p.m.p. in relazione agli artt. 3 e 27 della costituzione.
    Ma  la  Corte  costituzionale,  pur  riconoscendo che "dal diritto
 penale in genere presunzioni e pene fisse de jure  dovrebbero  essere
 bandite",   recentemente   (sentenza   n.   490/1989)  ha  nuovamente
 dichiarato inammissibile la questine, trattandosi di materia  in  cui
 l'adeguamento ai principi costituzionali non puo' realizzzarsi se non
 tramite un intervento legislativo.
    Questo  tribunale,  inoltre,  ha piu' volte sollevato questioni di
 legittimita' del citato art. 166 del c.p., il quale,  mentre  recenti
 riforme  legislative  ed  interventi della Corte costituzionale hanno
 determinato il venir meno di  presunzioni  assolute  di  capacita'  a
 delinquere  e di pericolosita' sociale in tema di pene detentive e di
 misure di sicurezza, per questo riguarda le  pene  accessorie  ancora
 dispone,   in   patente   trasgressione  degli  art.  3  e  27  della
 Costituzione,  un  uguale  trattamento  sanzionatorio,  sia  per   il
 condannato  che  presumibilmente commettera' ulteriori reati, sia per
 quello che, come appare nella specie, presumibilmente se ne asterra'.
    La  questione, sulla quale non e' sinora intervenuta una decisione
 della Corte costituzionale, deve essere nuovamente sollevato, data la
 sua rilevanza ai fini del presente giudizio.
    Si  deve, peraltro, rilevare che, a seguito dell'entrata in vigore
 del nuovo codice di procedura penale, ancor piu'  gravi  appaiono  le
 censure  di  costituzionalita'  che,  sempre  alla stregua dei citati
 artt. 3 e 27, debbono essere mosse nei confronti  della  disposizione
 dell'art.  166  del  c.p. Si consideri, a tal riguardo, la previsione
 dell'art. 445, primo comma, nuovo c.p.p., per la quale  la  pronuncia
 di  cui  all'art.  444,  secondo  comma  del c.p.p., - assimibile, in
 quanto  applicativa  della  pena   concordata   dalle   parti   (c.d.
 patteggiamento),  ad  una  vera  e  propria  condanna  - non puo' mai
 comportare l'irrogazione di pene accessorie. Il  beneficio  non  solo
 opera  nel  caso  in  cui  la  pena principale venga condizionalmente
 sospesa, ma anche nel caso in cui, non  potendosi  presumere  che  il
 colpevole si asterra' dal commettere ulteriori reati, la condizionale
 debba essere negata.
    Ne   deriva  che,  quand'anche  dovesse  ritenersi  non  priva  di
 giustificazioni la concezione secondo cui esigenze  di  tutela  della
 societa'  esigerebbero  di applicare in ogni caso di condanna le pene
 accessorie, quest'idea verrebbe  poi  subito  messa  in  crisi  dalla
 disposizione per cui, a conclusione del rito processuale alternativo,
 la condanna non comporta  l'applicazione  delle  pene  accessorie  in
 nessun  caso,  nemmeno quando si debba presumere che il colpevole non
 si asterra' dal commettere ulteriori reati.
    Tra  le  due  situazioni  la  differenza  e'  data solamente dalla
 richiesta, che l'imputato deve formulare entro il  termine  stabilito
 dall'art.  446, primo comma del c.p.p., di applicazione della pena, e
 quindi da un evento processuale che non si  vede  come  possa  essere
 considerato  significativo  nel  contesto degli elementi decisivi per
 l'irrogazione, o meno, di una pena accessoria.
    Ne   risultano   accresciute   le   gia'  denunciate  critiche  di
 costituzionalita',  per  contrasto  con  gli  artt.  3  e  27   della
 Costituzione, riguardanti la disposizione dell'art. 166 del c.p.